domenica 8 febbraio 2009
DERIVA BONAPARTIANA
I disegni sono di Nicola Bressan
.
Lo storico
Canfora
e
Berlusconi
Bonaparte
di
Bruno
Gravagnuolo
.
.
Il degrado antropologico di questa Italia è evidente.
Ma discende in primo luogo - oltre che dalla crisi
economica mondiale - dallo sfaldamento di quello
che un tempo era il blocco sociale della sinistra.
È in questa breccia che si fa strada la decadenza
del paese. In una con l’offensiva di destra.
Che viceversa si è dotata di un blocco forte di
interessi e punta a una Nuova Repubblica,
plebiscitaria e ostile alla divisione dei poteri».
Analisi gramsciana sui mali del paese quella di
Luciano Canfora, 67 anni, ordinario di filologia
classica a Bari e studioso del mondo antico, nonché
del pensiero politico. Una diagnosi allarmata,
soprattutto sulla «sfida bonapartista» di Berlusconi,
e poi sul «ruolo retrivo di questo papato» di cui
disinvoltamente il «cavaliere laico sposa le istanze».
Ma è tempo di reagire dice Canfora. Con le idee, la
mobilitazione.
E anche con qualcosa di irrinunciabile: l’identità.
Senza di cui non ci sono né programmi né contro
repliche efficaci.
Professor Canfora, Italia lacerata, pervasa
da violenze di branco e in recessione.
E per di più con un conflitto istituzionale
acutissimo, che vede Berlusconi candidarsi
platealmente a decisore populista.
Che impressione le fa tutto questo?
«Una delle cose più gravi intanto è l’avvenuto
spostamento a destra di gran parte del lavoro
dipendente, al nord e sul versante leghista.
La Lega è ormai più in grande, come Le Pen a
Marsiglia. La sinistra invece è stata incapace
di tenere legati a sé i ceti che formarono il
suo insediamento di sempre. Di qui discendono
alcune conseguenze. Come l’intolleranza verso
i nuovi arrivati, che scatta nei ceti popolari
“leghistizzati”, privi a questo punto di quei
valori che la sinistra, con il suo radicamento
e la sua pedagogia, riusciva a trasfondervi.
Dunque guerra tra poveri...».
La liquefazione del blocco sociale di sinistra
comporta a suo avviso un degrado antropologico?
«Degrado a catena. Anche il fascismo sorse dallo
scontento e riuscì a dimostrare di essere il
vero interprete degli interessi popolari e
nazionali, ingannevolmente ovviamente.
Un piccolo partito come la Lega, mutatis
mutandis, ricorda molto certi esordi del
fascismo.
E d’altra parte un grande partito liberal
conservatore come Forza Italia che
inizialmente ammiccava soltanto alla Lega
oggi sembra volerne incarnare interamente
il ruolo, dislocandosi al contempo su un
terreno nazionale e di massa più vasto, e
inglobando anche An. Si badi, sono solo
dei paralleli che servono a indicare delle
dinamiche, non a stabilire identità.
E le dinamiche sono queste, a fronte di uno
sfilacciamento della sinistra».
Anche sulle questioni di coscienza Berlusconi
si propone ormai come capo carismatico e
pontefice secolare...
«Una volta nel 2001 dissi a Radio 2 che
Berlusconi era un “bolscevico della borghesia”
La giornalista che mi intervistava ebbe delle
grandi difficoltà, e anch’io non potei parlare
in radio per molto tempo.
Credo che oggi si abbia la riconferma di quel
che dicevo allora. Il premier si è avventato
sul caso Englaro cavalcando il pretesto giusto.
Per aggredire Napolitano custode della
Costituzione e della divisione dei poteri,
a cui vuole infliggere un colpo mortale.
E il tutto dopo aver simulato a lungo
laicità e agnosticismo».
Ma può resistere il patto civico
costituzionale sotto i colpi della sfida
carismatica, oppure andrà in frantumi?
«Il rischio di cedimento c’è eccome, specie
nel quadro delle tante emergenze italiche,
che possono indurre ad affidarsi al decisore.
Il punto è che non si riesce a intravedere
una ripartenza di “sinistra”, nel senso più
ampio del termine. Una ripresa egemonica in
senso effettivo, ovvero la capacità di
persuadere e farsi credere.
Ma su tutti i temi all’ordine del giorno.
Una cosa difficile, poiché l’attuale mélange
“liberal-fascistico” che abbiamo di fronte è
proteso a mostrarsi di destra e di sinistra,
contemporaneamente. E come da manuale.
Oggi come ieri, e fatte le debite differenza,
lo straniero in quanto portatore di
globalizzazione impoverente, diventa il nemico.
L’agente consapevole o inconsapevole del
capitalismo cosmopolita (ieri erano gli ebrei).
E all’interno di quel “socialismo degli idioti”
che August Bebel in Germania attribuiva ai
reazionari populisti del suo tempo.
Del resto la guerra tra poveri in Inghilterra -
inglesi contro italiani - la dice lunga su questo
fenomeno: guerra dentro una stessa classe».
Italia come anello debole della globalizzazione
e banco di prova per una nuova democrazia
autoritaria in Europa?
«Questo mi pare troppo presto per dirlo, perché
il nostro paese per fortuna ha ancora molti
anticorpi. La Costituzione repubblicana
innanzitutto, con la sua partizione e
ramificazione di poteri. E poi l’eredità
popolare del movimento operaio e del Pci,
o almeno quel che ne resta. Difficile per
ora spazzarle via avventandosi sul caso Englaro.
Ma il rischio c’è eccome».
È in grado la sinistra, o ciò che ne rimane,
di fare anima e legame sociale sul territorio,
di «fare comunità» contro questo rischio?
«Non ha ancora dimostrato di esserne capace.
Certo il modello “maggioritario” di partito
trasversale e leggero adottato, è tutto in
perdita a riguardo. Invece di cercare un
radicamento capillare sul territorio, per
raggiungere la vita e l’esistenza degli
individui, si preferisce una maniera aerea
e svincolata dalla realtà.
Al più in questo modo si può apparire
brillanti e persuasivi in Tv.
Ma solo occasionalmente.
È solo una scorciatoia...».
Il «lavoro» può essere ancora il
nucleo vitale identitario di una
sinistra aggregante come quella a
cui lei allude?
«Sì, ma il lavoro in tutte le sue
innumerevoli ramificazioni.
Produttive e riproduttive.
Colpisce constatare come i quadri alti
del lavoro, non si rendano conto di
subire anch’essi ormai lo sfruttamento.
Sfruttamento della mente, subalternità
psicologica. Più in generale comunque
la dimensione lavorativa riguarda il 90%
del paese. E si tratta appunto di
recuperare la fiducia di tutti i ceti
produttivi, non solo di quelli che
pensano di star peggio».
Non bastano dunque la cittadinanza e i
nuovi diritti laici a definire la sinistra,
sia pur intesa in senso ampio?
«No, è uno schema debole e formalistico.
La cittadinanza è il contenitore di qualcosa,
non il contenuto. Mentre il contenuto restano
i diritti sociali e sostanziali.
Che si traducono in cittadinanza, ma ne sono
il prerequisito. Il rischio invece, con l’idea
della astratta cittadinanza, è quello di
difendere alcuni e non altri. Alcuni e non tutti.
Il risultato è la divisione dei cittadini».
08 febbraio 2009 DA l'UNITA' DI OGGI
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Come ci vedono gli altri e...... cosa non vuol vedere lui.......
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SALVATORE BORSELLINO A PIAZZA FARNESE
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Il discorso
di Salvatore
Borsellino
a Piazza
Farnese.
da Valentina Culcasi Oggi alle 12.27
«Grazie a tutti.
Ringrazio soprattutto quei tanti ragazzi, quelle
tante persone che ho incontrato oggi qui e che
vengono da tutte le parti d’Italia.
Sono quei ragazzi che incontro quando vado
in giro per l’Italia a gridare la mia rabbia
e a cercare di suscitare nella gente quella
indignazione che ritengo che tutti dovrebbero
avere nel vedere il baratro nel quale stanno
facendo precipitare il nostro Paese.
Vedete, ieri Sonia Alfano mi ha telefonato
e mi ha detto: “dobbiamo proiettare un
video nel quale si vedranno delle immagini
crude, delle immagini della strage di Paolo”.
Mi ha chiesto se poteva farlo, se sarei
stato in qualche maniera colpito, sconvolto.
Quelle immagini non mi sconvolgono affatto,
vorrei che venissero proiettate ogni giorno
in televisione, perché la gente si rendesse
conto di quello che è stato fatto.
Si rendesse conto di qual è il sangue sul
quale si fonda questa disgraziata Seconda
Repubblica, che capisse che è fondata sul
sangue di quei morti.
Vedere quelle immagini non mi sconvolge.
Una cosa mi sconvolge:
vedere le immagini di quelle stragi dopo
aver visto quelle due persone che prima
parlavano di Dell’Utri, delle bombe che metteva
Mangano, e ridevano.
Ridevano, ghignavano rispetto a quelle
cose: questo mi sconvolge.
Vorrei che quelle due persone venissero
messe in una cella come mettevano quegli
assassini di Arancia Meccanica, aprirgli
gli occhi e costringerli a vedere,
vedere, vedere, vedere in continuazione
quelle stragi.
Ecco quello che vorrei.
Io ho visto oggi quelle stragi e mi
sono ricordato di una cosa che mi
ha detto Gioacchino Genchi, che è
arrivato sul luogo della strage due
ore dopo il fatto.
Io ci misi cinque ore a sapere che mio
fratello era morto perché la televisione
dava notizie contraddittorie: forse è
stato ferito un giudice, forse sono
stati feriti uomini della scorta.
Fu mia mamma che, cinque ore dopo,
mi telefonò dall’ospedale e mi disse:
“tuo fratello è morto”.
C’era qualcuno, però, che si chiamava
Contrada che lo seppe ottanta secondi
dopo che mio fratello era stato ucciso
e io vorrei, io chiedo, io grido: voglio
che queste cose vadano a finire nelle
aule di giustizia!
Che ci siano processi per queste
complicità che ci sono state
all’interno dello Stato!
L’avete sentito di cosa parlavano
Berlusconi e Dell’Utri: ecco perché
vogliono impedire le intercettazioni,
perché quelle cose non possiamo, non
dobbiamo sentirle.
Non dobbiamo sentirle se no ci rendiamo
conto di quella che è la classe politica
che ci governa, ci rendiamo conto di
chi oggi ha occupato le istituzioni.
Il più grande vilipendio alle istituzioni
è che queste persone indegne di occupare
quei posti occupino le istituzioni.
Questo è il vilipendio alle Istituzioni
e allo Stato.
E’ il fatto che una persona che è stata
chiamata “Alfa”, in un processo che non
è potuto andare avanti perché è stato
bloccato, come tutti gli altri processi
che riguardano i mandanti occulti e
esterni, possa occupare un posto così
alto all’interno delle nostre Istituzioni.
Genchi arrivò in quella piazza due ore
dopo la strage, mi ha raccontato che
aveva conosciuto Emanuela Loi un mese
prima perché faceva da piantone alla
Barbera.
Era una ragazza che non era stata
addestrata per fare il piantone, per
fare la scorta a un giudice in alto
pericolo di vita come Paolo Borsellino.
Eppure quel giorno era lì a difendere
con il suo corpo,e nient’altro che con
quello, Paolo Borsellino.
Questi sono gli eroi, non quelli di
cui parlano Berlusconi e Dell’Utri,
dicendo che Vittorio Mangano è un eroe.
Gli eroi sono questi ragazzi che il
giorno dopo la morte di Falcone, ce
n’erano cento tra poliziotti e Carabinieri,
si misero in fila dietro la porta di Paolo
per chiedergli di far parte della sua scorta.
Se erano messi in fila per andare a morire,
perché Paolo sapeva che sarebbe morto.
Quei ragazzi, mettendosi in fila dietro
la porta di Paolo, sapevano che sarebbero morti
anche loro.
Gioacchino Genchi mi raccontò che due ore
dopo la strage , arrivando in via D’Amelio
vide i pezzi di Emanuela Loi che ancora si
staccavano dall’intonaco del numero 19 di
via D’Amelio.
La riconobbe perché c’erano dei capelli biondi
insieme a quei pezzi.
I pezzi di quella ragazza vennero messi
in una bara, vennero riconosciuti perché
era l’unica donna che faceva parte della
scorta, vennero mandati a Cagliari.
Sapete cosa venne fatto?
Quello che chiamiamo Stato ha mandato
ai genitori di Emanuela Loi la fattura
del trasporto di una bara quasi vuota
da Palermo a Cagliari.
Questo è il nostro Stato.
Questo è lo Stato che ha contribuito ad
ammazzare Paolo Borsellino e io vi racconto
queste cose non per farvi commuovere,
non per farvi piangere.
Non è il tempo di piangere.
E’ il tempo di reagire, di lottare, è
il tempo di resistenza!
Il tempo di opporsi a questo governo
che sta togliendo il futuro ai nostri
ragazzi, che ci sta consegnando
un Paese senza futuro.
E la colpa è nostra che abbiamo permesso
che tutto questo succedesse.
Quando Cossiga dice - dopo la manifestazione
degli universitari che hanno capito che in
Italia si sta cercando di distruggere
l’istruzione perché l’istruzione può portare
alla resistenza, anche durante il fascismo
le scuole erano centri di resistenza e i
ragazzi l’hanno capito - e Cossiga cosa ha
detto?
Ha detto che bisogna mettere infiltrati
in mezzo a quei ragazzi perché rompano
vetrine, perché vengano distrutte macchine
perché le ambulanze sovrastino le altre sirene.
Si augura addirittura che venga uccisa
qualche donna, qualche bambino perché si
possano manganellare quei ragazzi.
Dobbiamo essere noi a metterci davanti a
loro, siamo noi che ci meritiamo quelle
manganellate per avere permesso che il
nostro Paese diventasse quello che
è diventato.
Un Paese che non è degno di stare nel
mondo civile,
siamo peggio della Colombia.
Genchi è arrivato in via D’Amelio due
ore dopo la strage, ripeto, si è guardato
intorno e ha visto un castello.
Ha capito che non poteva essere che da
quel posto fu azionato il telecomando che
ha provocato la strage.
Genchi allora è andato in quel castello,
ha cercatodi identificare le persone che
c’erano dentro, mediante le sue tecniche.
Ha capito che da quel castello partirono
delle telefonate che raggiungevano cellulari
di mafiosi. Perché Genchi ha quelle capacità,
le sue conoscenze tecniche sono enormi, egli
è in grado, dagli incroci dei tabulati
telefonici e non dalle intercettazioni,
di riuscire a inchiodare i responsabili
di quella strage.
Ecco perché si sta cercando di uccidere
Genchi, ecco perché così come hanno
ucciso i magistrati si cerca di uccidere
anche Genchi.
Questo è il vero motivo: per togliere
un’altra arma a quello che è la parte
sana di Stato che è rimasta.
Cercano di uccidere Genchi, hanno ucciso
dei magistrati.
Io ieri ho sentito un magistrato – uno di
questi uccisi senza bisogno di tritolo –
che mi ha detto: “avrei preferito essere
ucciso col tritolo piuttosto che così,
giorno per giorno, come stanno facendo”.
I magistrati oggi, chi ancora cerca di
combattere la criminalità organizzata,
non viene più ucciso con il tritolo,
viene ucciso in maniera tale che la gente
non se ne accorga neanche, non reagisca.
Le stragi del 1992 portarono a quella
reazione dell’opinione pubblica, a quello
che mi ero illuso di riconoscere come
quel fresco profumo di libertà di cui
parlava Paolo.
Quel profumo di libertà che si oppone
al puzzo del compromesso morale,
dell’indifferenza,della contiguità e
fin della complicità. Quel puzzo che oggi
ci sta sommergendo.
Il puzzo dal quale oggi non possiamo
stare lontani perché sta permeando tutto
il nostro Stato, tutta la nostra vita
politica, tutte le nostre istituzioni.
Io, dopo la morte di Paolo, arrivai a
dire che se Dio aveva voluto che Paolo
morisse perché il nostro Paese
potesse cambiare allora avrei ringraziato
Dio di averlo fatto morire.
Questo era il sogno di Paolo, Paolo
sarebbe stato felice di sapere che
era morto per questo.
Oggi, guardate il baratro nel quale siamo
precipitati:io ringrazio Dio che Paolo
sia morto, che non venga ucciso come
stanno uccidendo De Magistris, Apicella,
Clementina Forleo.
Io ringrazio Iddio che Paolo non venga
ucciso in questa maniera.
Che messaggi ci arrivano dalla magistratura?
Il presidente dell’Anm dice: “abbiamo
dimostrato che la magistratura possiede
gli anticorpi per reagire”.
E’ una vergogna che un magistrato possa
dire queste parole!
La magistratura ha dimostrato, semmai,
di avere al suo interno quelle cellule
cancerogene che la stanno distruggendo,
e così come hanno vissuto e pervaso
tutte le istituzioni, la classe politica.
La magistratura, nei suoi organi superiori,
ha dimostrato di essere corrotta al suo interno.
Ormai il cancro sta entrando in metastasi
anche negli organi di governo della
magistratura.
Non è difficile, se pensiamo che a vice
presidentedel Csm, quello che dovrebbe
essere l’organo di autogoverno della
magistratura, c’è una persona indegna,
indegna!, come Mancino!
Una persona che mente!
Mente spudoratamente dicendo di non
avere incontratoPaolo Borsellino il
primo luglio del 1992, quando sicuramente
a Paolo Borsellino venne prospettata
quella ignobile, scellerata trattativa
tra lo Stato e la criminalità organizzata
per cui Paolo Borsellino è stato ucciso.
Perché Paolo non può aver fatto che
mettersi di traverso rispetto a questa
trattativa, questo venire a patti
con la criminalità che combatteva,
con chi poco più di un mese prima aveva
ucciso quello che era veramente suo
fratello, Giovanni Falcone.
Paolo non può che essere rimasto così
sdegnato da opporsi a questa trattativa
e a quel punto andava eliminato, e in fretta.
Tant’è vero che il telecomando della
strage di via D’Amelio fu premuto.
Queste cose non sono potute arrivare
al dibattimento perché tutti i processi
sono stati bloccati.
Genchi ha dimostrato che quel telecomando
era nel castello Utveggio, dove c’era un
centro del Sisde, i servizi segreti italiani,
è da lì che è arrivato il comando che ha
provocato la strage.
Ecco perché Genchi deve essere ucciso anche lui.
Hanno ucciso Paolo Borsellino, hanno ucciso
Giovanni Falcone e adesso uccidono anche Genchi,
De Magistris, tutti i giudici che cercano di
arrivare alla verità.
Così qualunque giudice che arriva a toccare
i fili scoperti muore, non si può arrivare
a quel punto perché oggi gli equilibri che
reggono questa seconda repubblica sono basati
sui ricatti incrociati che sifondando
sull’agenda rossa.
Un’agenda rossa sottratta dalla macchina ancora
in fiamme di Paolo Borsellino, in cui queste
trattative, queste rivelazioni che in quei
giorni gli stavano facendo pentiti come
Gaspare Mutolo, come Leonardo Messina
erano sicuramente annotate.
Quell’agenda doveva sparire, è questo
uno dei motivi della strage.
Quell’agenda doveva sparire, su quell’agenda
io credo che si basano buona parte dei ricatti
incrociati su cui si fonda questa seconda
repubblica.
E allora Mancino non può venirmi a dire che non
ricorda di aver incontrato Paolo Borsellino!
Non può soprattutto adoperare quel linguaggio
indegno che adopera.
Dice: “Io non posso ricordare se fra gli altri
giudici c’era anche Paolo Borsellino, che non
conoscevo fisicamente”.
Ma Mancino non hai visto chi era quel giudice
vestito con la sua toga che trasportava la
bara di Falcone? Non l’hai visto?
Non ti interessavano quelle immagini?
Eri ministro dell’interno e non ti interessava
che cosa stava succedendo in Italia in quei giorni?
Non ti interessava, a fronte di quell’agenda che
ho mostrato e nella quale c’è scritto: “ore 19.30
Mancino” scritto di pugno autografo da Paolo?
Lui ha mostrato un calendarietto in cui non
c’era scritto niente, l’ha mostrato semplicemente
e c’erano tre frasi con gli incontri della settimana.
E’ questo quello che fanno i nostri ministri, oltre
che cercare di accordarsi con la criminalità
organizzata. E’ per questo che è stato ucciso
mio fratello: perché mio fratello si è messo
di traverso rispetto a questa trattativa, per
questo doveva essere ucciso.
Io chiedo, e non smetterò di chiederlo finché
avrò vita, che sia fatta giustizia, che vengano
cacciati dalle istituzioni quelle persone che
sono complici di quello che è successo.
Non che venga data l’impunità a chi dovrebbe
essere sottoposto a processi e invece non può
essere neanche indagato, intercettato, non si
può fare nulla.
Dobbiamo subire, stanno adottando la tecnica
della frana, per cui ci hanno infilato in
un’acqua che a poco a poco si riscalda e la
gente non si accorge il punto a cui arriviamo.
Attenzione! Attenti!
Stiamo precipitando nel baratro e da questo
baratro dobbiamo uscire perché lo dobbiamo ai
nostri morti.
Lo dobbiamo a Giovanni Falcone, a Paolo Borsellino,
a Emanuela Loi, a questi che veramente sono eroi.
Dobbiamo riappropriarci del nostro Paese, questo
Paese è nostro, lo Stato siamo noi!
Non queste persone che indegnamente occupano le
istituzioni.
Vi lascio con tre parole che un altro dei giudici
che hanno tentato di uccidere ha detto, ed è
quello che dobbiamo fare, l’unica cosa che ci
resta da fare prima di cadere in un regime dal
quale non ci potremo più districare:
resistenza! Resistenza! Resistenza!»
Salvatore Borsellino